Piero Fabbri sarebbe “provatissimo perché teme che le persone lo ritengano responsabile della morte di Davide Piampiano” e disposto ad accompagnare gli inquirenti nei boschi del monte Subasio dove il giovane 24enne ha perso la vita “per spiegare loro cosa è accaduto” e mostrare che non intendeva salvarsi la vita né ostacolare i soccorsi. Lo rivela l’avvocato del muratore 56enne – da qualche settimana in carcere per omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Davide Piampiano, il 24enne che ha perso la vita a metà gennaio durante una battuta di caccia – secondo quanto riportato dal Corriere dell’Umbria in edicola oggi.
L’incidente probatorio da svolgersi sul luogo del delitto è, per l’avvocato, “necessario per procedere alla ricostruzione dell’effettiva dinamica dell’accaduto”, tra l’altro per permettere di verificare l’esatta posizione del muratore al momento dell’esplosione del colpo fatale (nota solo al 56enne) e quindi di ritrovare il bossolo che, per gli inquirenti, Piero Fabbri avrebbe nascosto o buttato, mentre per Maori non è stato trovato in quando, non capendo da dove sia partito il colpo, non è stato cercato nel luogo giusto.
Dopo che la scarcerazione è stata negata dal gip Carlo Frabotta, inoltre, Piero Fabbri si rivolge al Riesame, con l’obiettivo di ottenere una misura meno afflittiva, tentando di derubricare l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale in quella meno grave di omicidio colposo. Un tentativo che il gip aveva respinto una settimana fa, perché “Sono rimasti confermati tutti i comportamenti del Fabbri successivi al ferimento colposo della giovane vittima, connotati dalla ferma volontà di andare indenne da ogni forma di responsabilità penale e sostanziatisi in un meditato intervento modificativo della scena del delitto (prima che terzi arrivassero sul posto) contestuale all’omessa chiamata dei soccorsi e alla piena consapevolezza, acquisita immediatamente dall’indagato dell’elevato rischio di decesso del ferito”. Piero Fabbri avrebbe ammesso solo quello che non poteva negare, continuando per il resto a fornire, “con freddezza”, una “versione palesemente falsa”, motivando la mancata richiesta dei soccorsi (“una plateale omissione”, per il gip) con “ragioni nebulose”.
Nell’interrogatorio di garanzia Piero Fabbri ha ammesso di aver sparato, ma ha precisato che non non voleva colpire l’amico; pensava fosse un cinghiale, un errore dettato dal fatto che erano le cinque del pomeriggio, praticamente quasi buio. Ha inoltre detto che le successive azioni (come l’aver scaricato il fucile di Piampiano) sono state dettate da ragioni di sicurezza e dall’assenza di coraggio nel dirlo ai genitori della vittima; non era insomma – a suo dire – un tentativo di depistaggio. “Ero sconvolto, vorrei essere morto io”, le sue parole. Smentita, nell’interrogatorio, anche l’accusa di aver ritardato i soccorsi: non avrebbe chiamato il 118 perché impegnato a salvare l’amico, ma avrebbe telefonato al terzo cacciatore affinché potesse allertare i soccorsi.
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