In una lettera inviata dai familiari di Davide Piampiano e pubblicata dal Tg3 Umbria, la famiglia di Davide Piampiano, il 24enne deceduto durante una battuta di caccia sul Subasio, ribatte alle dichiarazioni di Luca Maori, difensore di Piero Fabbri, il 56enne muratore assisano accusato di omicidio volontario con dolo eventuale e per questo arrestato e carcerato.
“Alcune affermazioni apparse in questi giorni non corrispondono alla realtà dei fatti” – si legge nella lettera con la quale la famiglia smentisce l’orario (anticipato di circa mezz’ora, quindi non era buio) e che ci fosse una folta vegetazione. “Davide Piampiano era un ragazzo alto mt 1,84 e indossava un giaccone ad alta visibilità. È stato gravemente ferito, ma Fabbri non ha chiamato i soccorsi, anche per guidarli, essendo un profondo conoscitore della zona abitandoci”, aggiunge la famiglia, sottolineando come se anche i soccorsi fossero stati effettivamente inutili, Fabbri non poteva saperlo non avendo competenza in materia, senza dimenticare che “di fronte a Davide ancora cosciente e che implorava il suo aiuto, con un cinismo senza pari, Fabbri ha iniziato a raccontare al telefono che Davide si era sparato da solo, ha scaricato il suo fucile e ha iniziato a manomettere la scena del delitto”.
“Come già detto – si conclude così la lettera della famiglia di Davide Piampiano – spetterà ai giudici dare le valutazioni giuridiche sul comportamento di Fabbri, non cerchiamo vendetta ma solo giustizia, consapevoli che tali due concetti siano profondamente diversi. La prima apparterrebbe a pochi, la seconda dovrebbe essere e crediamo che sia, per la vicinanza sincera dimostrataci da tantissime persone, desiderio di una intera comunità civile”.
Di seguito la lettera integrale della famiglia di Davide Piampiano
Avevamo deciso di restare in silenzio lasciando che la giustizia facesse il suo corso, nella consapevolezza che, al di là di ogni parola e al di là di qualsiasi decisione che verrà presa dai Magistrati investiti della vicenda, Davide non tornerà più e niente, nemmeno la più esemplare delle sentenze, potrà cambiare questo o affievolire il nostro dolore. Nonostante questa volontà di silenzio, le continue dichiarazioni del difensore di Piero Fabbri ci impongono di fare chiarezza su alcuni aspetti della vicenda, almeno sotto il profilo della coscienza umana, lasciando ogni valutazione giuridica a chi è chiamato a giudicare, organi nei quali riponiamo la massima fiducia.
Non intendiamo fare i processi in TV e nemmeno sulla carta stampata, perché si fanno nelle aule di Tribunale, ma alcune affermazioni apparse in questi giorni non corrispondono alla realtà dei fatti. Erano le ore 17,10 dell’11 gennaio 2023 e non, quindi, le 17,30 come asserito, quando Piero Fabbri ha sparato a Davide. Non era certamente ancora buio, né sul posto vi è folta vegetazione, come abbiamo potuto constatare andando sul posto, né vi è stato alcun latrato di cane. Davide era un ragazzo alto mt 1,84 e indossava un giaccone ad alta visibilità.
È stato gravemente ferito ma Fabbri non ha chiamato i soccorsi, anche per guidarli, essendo un profondo conoscitore della zona abitandoci. Ancora non sappiamo se per Davide non ci fosse nulla da fare, ma se anche l’esito a posteriori fosse risultato scontato, Piero Fabbri, il muratore di Assisi, come definito dagli organi di stampa, che competenza aveva per stabilirlo a priori? Sapeva con cognizione di causa quale organo era stato colpito e che ogni tentativo sarebbe risultato inutile? Se vi fosse stata anche solo una possibilità su un milione che Davide si salvasse, lui doveva fare tutto ciò che era “umanamente” possibile fare e, anzi, tentare l’impossibile. Non solo non ha chiamato i soccorsi ma, di fronte a Davide ancora cosciente e che implorava il suo aiuto, con un cinismo senza pari, ha iniziato a raccontare al telefono che Davide, ripetiamo ancora cosciente e vicino a lui, si era sparato da solo, ha scaricato il suo fucile e ha iniziato a manomettere la scena del delitto. Se anche fosse stato convinto che di lì a poco Davide sarebbe morto, ci saremmo aspettati per il legame che c’era tra loro, che stesse lì a tenergli la mano, ad accompagnarlo, ad accarezzarlo, invece che dare inizio a quella serie di menzogne, perpetuate per quasi venti giorni e che ancora oggi continuerebbe a ripetere, se non vi fossero state le immagini della Go-Pro, che lo hanno inchiodato inequivocabilmente.
Si dice che fosse scioccato, ma ha avuto la lucidità necessaria per scaricare il fucile di Davide e per nascondere il suo, che aveva sparato, insieme alla giacca da caccia e così raccontare al telefono che Davide si era sparato da solo. Aveva la lucidità necessaria per pensare, prima di tutto, a salvare sé stesso. Altrettando biasimevole il comportamento dei giorni successivi. Dice di non aver detto la verità perché non aveva il coraggio di dire ai genitori che aveva ucciso Davide, ma ha avuto il coraggio, questo sì, di raccontare loro un sacco di bugie, tante storielle ridicole. Tutti i giorni ha fatto visita a casa dei genitori insieme alla moglie. La mattina successiva ha avuto il coraggio di lamentarsi con la famiglia di Davide, perché, a causa del colpo che Davide si era sparato da solo, “ora era venuto fuori un gran casino” e lui, del tutto innocente e unico soccorritore, si trovava ad essere “il primo indagato”. Quanto meno perplessi per la dichiarazione che sembrava assolutamente fuori luogo gli è stato risposto dalla mamma di Davide “magari oggi Davide fosse un indagato”. Raccontava e raccontava e diceva che era una fortuna che lui fosse intervenuto sul posto, così Davide non era morto da solo.
Due giorni dopo la morte, il 13 gennaio, si è svolta l’autopsia, fissata per le ore 18,00. Alle ore 20,49, con l’autopsia ancora in corso, mentre la famiglia era insieme a parenti ed amici a pregare per Davide, è arrivato un messaggio sul cellulare di uno dei genitori, del tenore… “saputo qualcosa?” Un comportamento inquisitorio, continuato per giorni e giorni, volto solo a scoprire con estrema freddezza e lucidità, del tutto incurante del dolore dei familiari, eventuali sospetti e stato delle indagini. Il giorno 18 gennaio 2023, tanto per citare un episodio, alle ore 13,51 è arrivato un altro messaggio, con cui si chiedeva se Piero e la moglie potessero andare a casa dei genitori di Davide, ricevendo una risposta affermativa. Da parte dei genitori non è stata rivolta nessuna domanda sulla dinamica dell’incidente, sono stati lui e la moglie a sollecitare insistentemente il papà e la mamma in tal senso: “se volete sapere qualcosa su come è accaduto…chiedete pure”, frase ripetuta almeno cinque o sei volte.
Come già detto, spetterà ai Giudici dare le valutazioni giuridiche sul comportamento di Fabbri, non cerchiamo vendetta ma solo giustizia, consapevoli che tali due concetti siano profondamente diversi. La prima apparterrebbe a pochi, la seconda dovrebbe essere e crediamo che sia, per la vicinanza sincera dimostrataci da tantissime persone, desiderio di una intera comunità civile. Non che questo sfogo cambi qualcosa, sappiamo che il baratro in cui siamo sprofondati probabilmente non avrà fine, ma crediamo sia giusto rappresentare i comportamenti di Fabbri così come sono stati nei confronti di un ragazzo gioioso e pieno di vita, che lui diceva essere il figlio che non aveva mai avuto e nei confronti della sua famiglia. Fabbri avrebbe almeno potuto tendergli la mano, rassicurarlo, assisterlo…ha preferito fare o non fare ciò che ha fatto, pensando esclusivamente a sé stesso, avendo il coraggio di farlo morire nella menzogna “Davide si è sparato una botta”.
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