Domenica 28 giugno 2020, alle 18, la sala della Conciliazione di Palazzo dei Priori di Assisi ospiterà la presentazione dell’ultimo libro di Riccardo Cristiano “Bergoglio o barbarie. Francesco davanti al disordine mondiale” (Castelvecchi editore, prefazione di Marco Impagliazzo, di cui AssisiNews pubblica alcuni stralci in fondo al pezzo).
All’iniziativa, organizzata con il patrocinio della Città di Assisi, in collaborazione con Articolo21, parteciperanno, insieme con l’autore, la sindaca Stefania Proietti; il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti; la presidente dell’Ucsi, Vania De Luca; padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi.
In un dialogo aperto con il lettore, l’ultimo lavoro del giornalista e fondatore dell’associazione Amici di padre Dall’Oglio propone un’attenta riflessione su come Francesco, con il suo pontificato, porti la Chiesa ad essere non più succube del clericalismo, ma Chiesa dei battezzati, amica di un mondo plurale, alleata del Vangelo e non del potere politico. L’unica alternativa possibile a odio e disprezzo, secondo Riccardo Cristiano, è papa Francesco.
Bergoglio o Barbarie, l’introduzione di Impagliazzo
Bergoglio o barbarie. È la versione aggiornata di «socialismo o barbarie», espressione usata da Rosa Luxemburg per avvertire che, al mo- mento del crollo del capitalismo, si sarebbe dovuto scegliere tra l’anarchia e la costruzione di una nuova società. Socialista, ovviamente. Ora, il capitalismo non è crollato, ma tutta un’epoca, con le sue ideologie, i suoi punti di riferimento, blocchi, legami, i suoi “tre” mondi, è stata spazzata via dalla globalizzazione, dalla liquidità del presente, dal nuovo disordine mondiale. Non c’è più l’antico “regime”, ma non ce n’è ancora uno nuovo: il mondo non ha più un centro, occorre far sì che il pianeta non precipiti nella barbarie.
Al giovane Riccardo di qualche decennio fa lo slogan della rivoluzionaria polacco-tedesca piaceva. Quella dicotomia – scrive – «ci esaltava, dandoci una certezza identitaria accettabile a tutti: in “socialismo o barbari” sentivo e sentivamo una verità: avevamo il compito di cambiare la storia». Il maturo Riccardo dei nostri giorni sa bene quanto illusorio fosse il movimentismo del passato. E si chiede giustamente, «L’abbiamo cambiata? [la storia] E come?». Sente tuttavia come l’opposizione di quei due termini antitetici vada rivista, senz’altro, ma non cancellata; vada riletta alla luce del presente, ma non archiviata nei sotterranei della rassegnazione. Perché è ancora il momento di scegliere: fra una civiltà dei muri e dei porti chiusi da una parte, e quella civiltà dei ponti di cui il pontifex, il pontefice, facitore di passaggi, è il massimo annunciatore e rappresentante.
Del resto, non vogliamo andare all’indietro fino alla Luxemburg? Prendiamo – e facciamo nostra – una frase di Martin Luther King: «Dovremo imparare a vivere come fratelli, o perire come dei folli». Ancora un bivio, tra ragione e follia, tra fraternità e autodistruzione.
Per Riccardo c’è una scelta che va compiuta ogni giorno, in questo “cambiamento d’epoca” che caratterizza l’inizio di millennio. È la scelta tra bene e male, che è sempre stata il compito dell’uomo, credente o no: «Lume v’è dato a bene e a malizia», canta il poeta.
(…)
Il mondo è tentato infatti dallo scontro tra le civiltà. È l’idea che le diversità siano irriducibili. Che l’incontro con l’altro sia una trappola, il dialogo una chimera. Un carattere della nostra epoca, che ha come prodotto il fondamentalismo e il terrorismo, è la frammentazione: si di- sgregano le reti che tengono insieme la polis; si indeboliscono i soggetti statuali; si accentuano le divisioni tra le nazioni, tra le culture, tra i con- tinenti. Una comunicazione senza mediazioni, soggetta all’istinto e alie- na dalla riflessione induce a chiudersi, illude di poter fare da soli.
Il magistero pontificio vive della convinzione opposta. Della consa- pevolezza che in un tempo di globalizzazione serve un dialogo positivo e paziente; che in un mondo più confuso occorre fare chiarezza; che alla deriva dei continenti deve rispondere una stagione di connessioni. Per- ché alla globalizzazione ha condotto la storia, argilla nelle mani di Dio.
Nel labirinto del presente si tratta di piegare verso la strada dell’in- contro, e non di imboccare la via dello scontro. È il compito di ogni pre- sente, in ogni labirinto. Guardiamo ai Vangeli. C’è un tempo – e quel tempo ritorna continuamente – in cui occorre scegliere tra Gesù e Ba- rabba, tra Dio e la ricchezza: «Nessun servitore può servire due padro- ni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
(….)
«Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a com- prenderlo meglio», disse Giovanni XXIII in punto di morte. È davvero così? È questa la speranza del nostro tempo. Nella stagione dell’io e dei sovranismi, la Chiesa, oggi guidata da papa Francesco, non accetta di rattrappirsi, di restringersi, di essere una comunità senza sogni, di non uscire. Continua a parlare perché il mondo sia diverso, perché il mondo abbia un futuro.
Uomini pronti a dividersi, tesi ognuno a parlare la propria lingua, come in una nuova Babele, possono essere ricondotti dal Vangelo a riconoscere nell’altro un fratello o una sorella. Il tessuto sociale slabbrato dal peccato e dalle tensioni che albergano nel cuore degli individui e dei popoli può essere ricucito (è il “tiqqun ’olam” del Talmud). Papa Francesco chiama ciascuno ad accostarsi «alla terra sacra dell’Altro» C’è una nuova storia da scrivere. Si tratta di mettere mano, mattone dopo mattone, a un umanesimo “con”, rigettando ogni tentazione di vivere “senza”, ovvero “a porte chiuse”. Si tratta di un sogno? Forse è più di un sogno; è una necessità.
Francesco ce lo ricorda. Ci ricorda che in questo giardino, che è il mondo, camminiamo su un sentiero e lo vediamo biforcarsi. Rileggiamo Borges: «Il tempo si biforca perpetuamente verso innumerevoli futuri. In uno di questi io sono suo nemico». Ma in altri no. C’è una speranza. Si tratta di scartare il futuro in cui l’altro è il mio hostise di scegliere quello in cui siamo ognuno hospes dell’altro. La scommessa che possiamo fare con papa Francesco è tutta qui, nella sua drammatica, affascinante semplicità.
Prefazione a Bergoglio o barbarie, di Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio
© Riproduzione riservata