Sono 28 gli ambiti entro i quali potranno essere stabilite restrizioni per combattere l’ epidemia del Coronavirus, che andranno attuate comunque “secondo criteri di adeguatezza specifica e principi di proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti ovvero sull’ intero territorio nazionale”. Lo prevede il nuovo decreto del 24 marzo 2020, che riordina la misure messe in campo finora attraverso i vari dpcm e che assorbe, abrogandolo, anche il primo decreto legge che aveva dato la possibilità di istituire le zone rosse all’inizio dell’ emergenza.
“Un decreto legge che riordina la disciplina adottata finora. Abbiamo anche regolamentato più puntualmente i rapporti tra attività del governo e del Parlamento. Ogni inziativa sarà passata ai presidenti delle Camere e ogni 15 giorni io riferirò in Parlamento”, ha detto Conte. “Abbiamo regolamentato anche i rapporti tra gli interventi del governo e le Regioni. Lasciamo loro la possibilità di adottare misure restrittive ancora maggiori”, ha aggiunto il premier, invitando a non tenere conto delle indiscrezioni precedenti. Smentito anche che le restrizioni saranno in vigore fino al 31 luglio: si tratta dell’emergenza nazionale, che è una cosa ben diversa: “Siamo pronti in qualsiasi momento, ci auguriamo prestissimo, ad allentare le misure restrittive”.
Nel nuovo decreto legge del 24 marzo 2020 ci sono poi le limitazioni ai movimenti, sia dall’abitazione per chi è in quarantena (divieto assoluto) sia dai Comuni di residenza o anche, come fatto di recente da alcuni governatori e nel weekend dal governo, dai territori regionali o comunali. Si possono chiudere strade e parchi, oltre che scuole, teatri, cinema, musei, chiese, palestre e parchi. Come riporta il Corriere della Sera salgono le multe e sanzioni per punire chi non rispetta i divieti emanati per “evitare il contagio da coronavirus” e dunque limitare gli spostamenti dei cittadini. Il provvedimento prevede una sanzione amministrativa da euro 500 a euro 4.000. Per i negozi che non rispettano la chiusura è prevista “la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni”.
Il decreto legge del 24 marzo 2020 non cancella le norme sin qui adottate con i precedenti decreti di Conte, ma le sistema in un documento unico. Tutti i divieti in vigore restano validi, ma i presidenti possono “introdurre o sospendere l’applicazione di una o più misure” firmando ordinanze valide per sette giorni, “in relazione a specifiche situazioni di aggravamento ovvero di attenuazione del rischio sanitario”. Anche i sindaci, a certe condizioni, hanno facoltà di introdurre o sospendere alcune misure, sempre sulla base dell’evoluzone dell’epidemia.
Il decreto inoltre prevede che – alla scadenza dei divieti di circolazione e chiusura di scuole, bar, ristoranti, parchi e di tutte le altre attività che hanno subito uno stop – “sarà possibile adottare nuove restrizioni su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, se occorre, sulla totalità di esso, purché abbiano una durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio, e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del virus. La decisione sarà adottata con Dpcm su proposta del ministero della Salute, sentiti i ministri competenti e i presidenti di regione interessati. I quali potranno anche loro proporre al presidente del consiglio le misure da adottare con dpcm sui rispettivi territori”.
I presidenti di regione possono adottare autonomamente o in via di urgenza per igiene sanitaria misure più restrittive che sono valide ed efficaci per 7 giorni, entro i quali devono essere confermate con Dpcm. Lo stesso vale per le ordinanze dei sindaci rispetto al presidente della regione o al presidente del consiglio dei ministri che deve confermarle entro 7 giorni con decreto.
Inoltre, le aziende la cui attività non è stata sospesa dall’ultimo Dpcm sono tenute a comunicare al prefetto “le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite”, nonché”la ricorrenza delle condizioni previste dalla norma per la prosecuzione dell’ attività”. La comunicazione non è dovuta qualora si tratti di attività finalizzata ad assicurare un “servizio pubblico essenziale”. Lo indica una circolare del Viminale ai prefetti ai quali spetta una “valutazione” ed una eventuale sospensione delle attività.
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