Una bella storia di famiglia che arriva da Assisi. La protagonista, una dei protagonisti, è il vicequestore Francesca Di Luca, capo del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Assisi da dieci anni. Ha adottato due bimbi in sette anni, prima Christian, nel 2016, e nel 2023 Riana, 4 annui, entrambi originari del Madagascar e ora diventati parte integrante della sua famiglia. E per questo la dottoressa Di Luca ha scelto di condividere l’esperienza: “Per l’adozione devi essere in due e avere un percorso culturale solido ma si può fare, anche economicamente, mettendo sul piatto della bilancia le proprie priorità e rinunciando ad altre cose. Le dico veramente che il bene è dilagante e produce solo altro bene. La nostra storia è stata d’aiuto per altre coppie e spero che con questa intervista lo possa essere anche di più”. (Continua dopo la foto)
A raccontare la storia è infatti la stessa Francesca Di Luca in un’intervista al quotidiano Avvenire, firmata da Marina Rosati. “Per noi (l’adozione) non è mai stata una seconda scelta. Poi quando abbiamo saputo che la genitorialità biologica non sarebbe stata possibile, soprattutto per me come donna, è stato ovviamente un dolore. Ma noi avremmo comunque voluto un figlio, africano per l’empatia verso quella terra e quindi ci siamo accostati all’adozione con gioia. Accogliere un figlio non concepito da te è una genitorialità diversa. Quando dicono ‘ma non è figlio tuo’, rispondo ‘anche quello che nasce dal tuo grembo è comunque altro da te’, non puoi pensare ai figli come se fossero cosa tua, per il solo fatto di averli messi al mondo“.
Per quanto riguarda l’adozione in sé, la procedura seguita “è abbastanza standardizzata: la prima cosa è la domanda al tribunale dei minori. Una volta accolta la richiesta c’è la presa in carico da parte dei Servizi sociali e l’obbligo di seguire un corso per comprendere quanto sia solida la decisione. Questo aspetto è molto impor tante perché molti sono spaventati dalle domande, dalle ‘interferenze’ degli assistenti sociali e degli psicologi, ma invece sono necessarie. È il momento in cui si comprende pienamente se l’adozione è un semplice ripiego o, invece, è fortemente voluta come scelta di vita e di famiglia. Mi ricordo, come fosse ieri, che io e mio marito andavamo al corso con tanto entusiasmo perché sapevamo da sempre che quella era la nostra strada, ma vi erano anche coppie meno serene, rassegnate dal fatto di non poter avere figli propri e avviati così a questa seconda scelta. Fatte le dovute verifiche, dopo circa un anno viene emanato il decreto di adottabilità“.
Francesca Di Luca si è rivolta “alla Comunità di Sant’Egidio: ed è veramente importante trovare un soggetto capace e serio che ti segua nelle procedure internazionali. Poi si indica un Paese di origine e noi eravamo sicuri dell’Africa perché i popoli di quel continente hanno una gioia, un senso della vita e una solidarietà contagiosi. Da lì inizia l’attesa, che può durare anni, ed è vera mente il periodo più duro perché aspetti quella telefonata che sembra non arrivare mai. Quando giunge però, provi una felicità incontenibile, ma vorrei sottolineare che i bambini non si scelgono. Sul nome abbiamo deciso di mantenere quello che già avevano per il rispetto di una loro già maturata identità“.
A questo punto si crea un dossier con le foto e le informazioni del bambino o della bambina, che si va a conoscere sul posto: “Questa permanenza varia da Paese a Paese – spiega la Di Luca – per quanto ci riguarda è stata di tre mesi per ogni adozione. Ma poi quando c’è l’incontro è indescrivibile. È come partorire. Quando abbiamo visto Riana abbiamo aspettato che fosse lei a venire da noi e poi, una volta in braccio, è stato un colpo al cuore. A volte ha il desiderio di attaccarsi al seno. In un attimo li senti tuoi, sono la tua carne. In poco tempo io, la mamma, sono diventata la carezza, l’amore; il papà è il gioco, l’allegria. Comunque non è facile, perché soprattutto Christian ci ha messo alla prova all’inizio, aveva un atteggiamento quasi di sfida perché voleva essere sicuro che lo volessimo”.
Ma come si spiega a un bambino che è adottato, e quali sono le sue origini: “Nel nostro caso non puoi nascondere la verità perché c’è un discorso evidente di colore della pelle. Ma a prescindere da questo – spiega la dottoressa Francesca Di Luca – è importante non mentire; per esempio, ai nostri bambini abbiamo sempre e subito detto che hanno dei genitori naturali che li hanno amati tanto da volerli mettere al mondo, ma che non potevano occuparsi di loro. Poi la nostra decisione immediata di avere un secondo figlio sempre dello stesso Paese è derivato dal fatto che sentivamo di avere ancora riserve d’amore da poter dare e ricevere ma è stato anche un modo per non spezzare il legame con la loro terra e permettere di essere una famiglia nella famiglia: Christian e Riana lo sono. Non gli nascondiamo mai niente e non escludiamo che un giorno vogliano tornare nella loro terra che, adesso, è anche la nostra. Per questo sosteniamo anche l’associazione Maisons Des Enfants che in Madagascar aiuta madri in difficoltà e bambini abbandonati“. E alla domanda su cosa pensa di altre forme di maternità, Di Luca risponde che: “Sono scelte diverse, non voglio giudicare ma ribadisco che non bisogna pensare ai figli come cosa tua. Per me doveva andare così: i miei figli erano già nati, li dovevo solo andare a prendere. E nel momento dell’attesa, della famosa chiamata, la fede mi ha davvero aiutata perché a un certo punto mi sono detta: ‘Sarà quel che Dio vuole’. E Dio per me ha sempre voluto traguardi sudati, non facili, anche questo della maternità; ha ritenuto che avessi la forza per raggiungerli“.
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