Ha sparato da 25 metri, ad altezza uomo in un bosco in cui era consapevole ci fossero altre persone, dove la visibilità era limitata da alberi e dal sole che stava tramontando. E per questo Piero Fabbri verrà processato per omicidio colposo, aggravato dall’aver commesso il fatto nonostante la previsione dell’evento. Viene dunque confermato “l’alleggerimento” dell’accusa per la morte di Davide Piampiano, che già nel febbraio del 2023 era passata da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo con “previsione dell’evento”.
Come noto i fatti avvennero a inizio 2023: il giovane 23enne fu colpito da una fucilata al petto durante una battuta abusiva di caccia al cinghiale, nei boschi intorno ad Assisi. Insieme a lui c’è anche Piero Fabbri che ai carabinieri – e alla famiglia – raccontò per giorni di un colpo partito dal fucile della vittima. Due settimane dopo la tragedia, il ‘colpo di scena’: a sparare era stato proprio Fabbri, di professione muratore: “Ho visto le frasche muoversi e ho sparato. Era buio e pensavo fosse un cinghiale, è stata una tragica fatalità”, confesserà agli inquirenti l’arrestato, come detto con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. A fine gennaio, per incompatibilità, gli atti passarono a Firenze per incompatibilità dei giudici (la mamma del 24enne era magistrato a Spoleto) e metà febbraio Fabbri fu scarcerato (nel frattempo ha svolto attività di volontariato con persone disabili) e l’accusa derubricata in omicidio colposo.
Ora la chiusura delle indagini sulla morte di Davide Piampiano della Procura di Firenze, con il giudice che ritiene che l’omicidio di Piampiano sia “per colpa, consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, in particolare, contravveniva alle basilari misure cautelari prudenziali in ambito venatorio, esplodendo il colpo d’arma da fuoco ad altezza-uomo, omettendo di preservare l’incolumità di terzi – pur consapevole della presenza di Davide Piampiano nella medesima area boschiva – assicurandosi che il campo di tiro fosse sufficientemente libero e sicuro, date le circostanze di tempo e di luogo – in area boschiva con visuale parzialmente coperta da vegetazione e in presenza di luce crepuscolare – nonché omettendo di accertare l’esatta natura del bersaglio e di adottare la cautela di astenersi dall’azione di fuoco a fronte di un bersaglio non determinato”.
“L’impianto accusatorio, contenuto nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ci lascia perplessi, rilevando nello stesso capo d’imputazione qualche contraddizione, che induce a ritenere che si potesse ipotizzare un delitto di diversa gravità. La contraddizione diventa ancora più netta se l’ipotesi accusatoria è messa a confronto con il contenuto degli atti di indagine, ivi comprese le consulenze tecniche delle difese delle persone offese e, financo, quella balistica del Pubblico Ministero”, scrivono in una nota gli avvocati della famiglia, Franco Matarangolo, Giovanni Flora e Francesco Maresca. A sostegno della tesi dei legali diversi elementi che sarebbero incompatibili con la versione di Fabbri che sostiene di aver sparato un cinghiale. Tra questi il “dislivello roccioso verticale di circa due-tre metri” in cui un cinghiale non potrebbe mai passare. E infatti un esperimento durato sessanta giorni ha permesso di accertare – dopo che già diversi cacciatori avevano ipotizzato la possibilità, e anche un esperto attraverso una consulenza zoologica – che i cinghiali solo una volta sono passati in quel punto, una volta in 60 giorni.
C’è poi l’altezza al quale il colpo che ha provocato la morte di Davide Piampiano è stato sparato, non quella di un cinghiale. “La caccia al cinghiale – si legge nella consulenza tecnica balistica svolta dal perito incarico del P.M. dr. Lorenzo Boscagli – è attività alquanto pericolosa se non si osservano scrupolosamente le norme di sicurezza; si spara infatti ad un animale per lo più in rapido movimento di cui è impossibile stimare comportamenti e direzione, specie se “braccato” dai cani. Il tutto si svolge inoltre per lo più in zone boschive a folta vegetazione ove la visibilità, di rado, è ottimale. Davide Piampiano è stato attinto da un proiettile calibro 12 in regione sottosternale sinistra, ad una distanza di 131,5 cm dalla pianta dei piedi; se il bersaglio è stato erroneamente ritenuto un cinghiale è possibile affermare che il colpo è stato esploso con scarsa precisione in quanto un verro di taglia media misura, al garrese (schiena), circa 60-70 cm”. Un’altezza da ridurre di almeno 20 cm se si vuole ‘centrare’ il cinghiale, onde evitare the il proiettile “sfiori” o “sorvoli” il selvatico; il colpo sparato da Fabbri, un cacciatore esperto, avrebbe “oltrepassato” il cinghiale di circa 70 cm, “un errore di mira piuttosto rilevante stante la precisione del fucile e breve distanza da cui è stato esploso (circa 25 metri) (…) e anche considerato che l’indagato è un cacciatore di lungo corso e, pertanto, di notevole esperienza (…) che non poteva non sapere o quanto meno avere il grave dubbio che in quel luogo i cinghiali non transitano, circostanza riferita da cacciator altrettanto esperti. In considerazione di ciò si è richiesta una consulenza zoologica dalla quale è emerso che in effetti cinghiali in quel luogo non transitano”.
E ancora: Piero Fabbri per sua stessa ammissione sa che Davide sta scendendo, avendo dichiarato “che Davide lo avrebbe chiamato qualche minuto prima chiedendogli di andare ad aiutarlo a recuperare il cane”. In realtà dall’esame del registro delle telefonate risulta che è Fabbri ad aver chiamato Davide, che quando è stato colpito “era fermo da almeno 4 secondi”. Inoltre, “un soggetto della corporatura e della statura del Piampiano (190 cm con gli scarponi e con un giaccone ad alta visibilità), anche se collocato verso l’imbrunire in un ambiente boschivo, difficilmente può passare inosservato se attentamente studiato”, senza contare che la vegetazione (piante, ramaglie, ecc.) non era particolarmente fitta, spoglia di parte del fogliame in quanto il fatto si è svolto in piena stagione invernale, l’11 gennaio 2023). Il luogo ove è stato rinvenuto il cadavere inoltre è piano pietrisco e ramaglie che non potevano consentire un camminamento, anche solo brevi spostamenti, senza determinare uno scalpiccio udibile anche a distanza, come conferma anche l’audio della Go-Pro.
Fabbri avrebbe dovuto sapere che “Davide sta scendendo e che quel luogo non è passaggio abituale per cinghiali”, e anche pur ammettendo che potrebbe essere stato tratto in inganno da rumori, che la Go-Pro non registra, non doveva in nessun caso sparare. E proprio dall’audio, “è possibile percepire tre suoni distinti separati tra loro nello spazio e precisamente un suono metallico” conseguente al caricamento del fucile (scarrellamento del carrello otturatore per l’inserimento della cartuccia in canna), uno sparo nonché altri suoni riconducibili al respiro dei soggetti presenti sul luogo del fatto. Nel dettaglio si rileva un rumore di passi che si interrompe improvvisamente seguito, 2,80 secondi dopo, da un movimento armonico con il caricamento di un’arma. Trascorsi circa 3,65 secondi dall’interruzione del rumore dei passi si percepisce uno sparo”, quello fatale. I tempi di reazione insomma non sono compatibili con quelli di un gesto istintivo, che solitamente si aggira intorno al secondo. Inoltre, se la difesa di Fabbri ipotizza che il colpo che ha causato la morte di Davide Piampiano possa essere stato deviato, la perizia rileva che “Il foro di ingresso presenta aspetti morfologici armonici con un proiettile che ha attinto diretto e perfettamente stabilizzato la vittima, senza che abbia subito deviazioni nel corso della sua traiettoria”. Il muratore oggi 58enne, difeso dall’avvocato Andrea Maori, avrà ora venti giorni per chiedere eventualmente di essere interrogato o rilasciare dichiarazioni, per presentare memorie o produrre documenti. Poi si dovrà attendere l’udienza preliminare.
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