Poco meno di un’ora per ribadire la sua versione dei fatti sulla morte di Davide Piampiano. Ieri Piero Fabbri, il muratore di 56 anni che ha ucciso l’11 gennaio Davide Piampiano durante una battuta di caccia sul monte Subasio ha avuto l’interrogatorio con il giudice Angelo Antonio Pezzuti della Procura di Firenze, che ha già ‘ridimensionato’ il reato iniziale contestato all’uomo, omicidio volontario con dolo eventuale, in delitto colposo, perché l’uomo, nel frattempo scarcerato, ha sparato “senza intenzione” e, a prescindere dal comportamento di Fabbri che non ha allertato i soccorsi, la ferita sarebbe stata comunque letale.
Di fronte al giudice, Fabbri ha ribadito la sua versione dei fatti, ossia che la fucilata ha colpito Davide per sbaglio, perché avrebbe sparato pensando che il giovane fosse un cinghiale, confuso anche dall’abbaiare di un cane che il 56enne pensava fosse con Davide e i cui latrati venivano da una direzione differente. La sua versione sulla morte di Davide Piampiano è statapiù volte contestata dalla famiglia, che ha anche chiesto nuove perizie sulla tragedia.
Secondo la memoria della famiglia, “Fabbri non è un inesperto cacciatore alle prime armi, ha 57 anni e va a caccia dall’età di 14 anni”, quindi non solo è improbabile “la scelta di sparare al minimo fruscio, scambiando una persona per un cinghiale”, ma la versione dei fatti del 56enne – peraltro resa agli inquirenti solo dopo giorni e dopo la constatazione che esistesse un video della tragedia, senza dimenticare tutte le azioni di Fabbri per allontanare da sé i sospetti – “mal si concilia con lo stato dei luoghi, con l’altezza (m. 1,84) e la corporatura robusta di Davide e con il fatto che indossava un giubbotto definito ad alta visibilità”. Per questo è stata richiesta una perizia balistica, non solo perché Piero Fabbri non può essere ritenuto una fonte certa, ma anche “valutata la già dimostrata callidità dimostrata nell’inquinamento delle prove da parte dell’indagato, che potrebbe continuare, tenuto conto della conosciuta omertà che vige tra i cacciatori”.
Piero Fabbri intanto penserebbe già al dopo: a fronte di una pena massima di tre anni che non sconterebbe comunque in carcere, l’avvocato Luca Maori sta valutando il rito abbreviato – per cui l’imputato rinuncia alla fase dibattimentale e la sentenza verrebbe emessa sulla base delle prove del pm – o il patteggiamento – per cui la pena verrebbe stabilita in ‘accordo’ con la Procura: in entrambi i casi, la pena sarebbe comunque dimezzata di un terzo.
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