Si è svolto oggi nel carcere di Perugia l’interrogatorio di Piero Fabbri, il 56enne arrestato venerdì per l’omicidio di Davide Piampiano. L’uomo, muratore, residente nell’assisano, è stato arrestato per omicidio volontario con dolo eventuale in quanto – oltre ad aver sparato – avrebbe ritardato i soccorsi per ‘falsificare’ la scena del crimine. Fabbri avrebbe ammesso di aver sparato, ma ha precisato che non non voleva colpire l’amico; pensava fosse un cinghiale, un errore dettato dal fatto che erano le cinque del pomeriggio, praticamente buio. Ha inoltre detto che le successive azioni (come l’aver scaricato il fucile di Piampiano) sono state dettate da ragioni di sicurezza e dall’assenza di coraggio nel dirlo ai genitori della vittima; non era un tentativo di depistaggio. “Ero sconvolto, vorrei essere morto io”, le parole riportate dall’avvocato che ha chiesto la revoca della custodia cautelare in quanto si tratterebbe di omicidio colposo aggravato e non di omicidio volontario con dolo eventuale. Smentita, nell’interrogatorio, anche l’accusa di aver ritardato i soccorsi: non avrebbe chiamato il 118 perché impegnato a salvare l’amico, ma avrebbe telefonato al terzo cacciatore.
L’arrestato, difeso dall’avvocato Luca Maori (dopo che il precedente legale, Delfo Berretti, ha rinunciato all’incarico essendo legato alla famiglia della vittima) ha parlato oggi per la prima volta, dopo che per giorni a raccontare la morte del 24enne sono state le pesantissime carte dell’accusa. Già al momento dell’arresto la Procura aveva reso noto che Fabbri era stato incastrato dai filmati registrati dalla GoPro, diciassette minuti “particolarmente crudi e drammatici”, che hanno permesso di stabilire – dopo che già l’autopsia aveva posto alcuni dubbi sul fatto che la morte del 24enne potesse essere autoinflitta – che il colpo fatale certamente non era partito dal fucile de giovane a seguito di una caduta ma da quello di un terzo presumibilmente anche lui nella battuta di caccia. Nelle immagini, che sono state registrate a partire da pochi minuti che Davide fosse colpito (secondo Repubblica.it, “nel video choc il fragore sordo di uno sparo irrompe a metà del minuto 3, quando l’inquadratura riprende il display del cellulare che segna le 17.10”), si vede tra l’altro Fabbri che, dopo un primo momento in cui pensava che l’amico scherzasse, “accortosi di quanto accaduto avrebbe cercato di depistare le indagini alterando lo stato dei luoghi, scaricando l’arma del Piampiano, disfacendosi del proprio fucile e della propria giacca da caccia e soprattutto omettendo di chiamare tempestivamente i soccorsi, avvisati solo dopo vari minuti da un altro giovane che si trovava a caccia e che nel frattempo era sopraggiunto”.
In buona sostanza Fabbri, secondo quanto ricostruito dalla Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone e messo nero su bianco dal gip Piercarlo Frabotta, non solo avrebbe sparato contro il ragazzo senza una benché minima precauzione “imposta nell’esercizio dell’attività venatoria”, ma avrebbe ritardato i soccorsi e alterato la scena. Non sapendo di essere ripreso, Fabbri si avvicina a Davide per vedere cosa è successo e intanto lo si sente pronunciare: “Oddio, pensavo fossi il cinghiale, dove ti ho chiappato…”; e mentre Davide chiede aiuto – “Aiutami Piero, sto morendo” – l’arrestato è impegnato in “un’attività posta in essere in una quindicina di minuti – scrive il gip – quindi frutto di un’adeguata ponderazione, con sufficiente freddezza e lucidità, delle conseguenze che sarebbero potute derivare anche solo da responsabilità colpose”.
“La ricostruzione dei fatti emergente dall’audio-video registrazione in atti – ancora gli atti del gip sull’omicidio di Davide Piampiano riportati da Il Messaggero – consente di affermare, dunque, che il Fabbri dopo aver colpito per errore l’amico Piampiano Davide pensando che si trattasse di un cinghiale, non solo raccontava ma anche inscenava la fandonia che il giovane ragazzo si fosse sparato da solo; il Fabbri, infatti, avendo avuto per più di 4 minuti (dal minuto 3.46 della registrazione, quando arrivava vicino al corpo dell’amico, al minuto 7.48 quando parlava dell’’incidente’ per la prima volta al telefono con l’altro partecipante alla battuta di caccia) il dominio assoluto della concreta situazione di fatto da lui stesso provocata per colpa, invece che chiamare il 118, si preoccupava di scaricare l’arma della vittima per far credere che la stessa avesse sparato e con altissima probabilità recuperava e sottraeva definitivamente il bossolo del colpo che egli invece aveva sparato contro il Piampiano, mai trovato dalla PG nonostante l’utilizzazione di tutti gli strumenti tecnici possibili”.
Fabbri, scrive ancora il giudice a proposito dell’omicidio di Davide Piampiano, “dopo aver consumato inutilmente i primi quattro minuti astenendosi dall’agire per salvare la vita al Piampiano, continuava a lasciare ogni determinazione sulla chiamata dei soccorsi ai propri interlocutori, preoccupandosi solo di ripetere a costoro la menzogna sull’auto-ferimento della vittima; il telefono che aveva in mano, e che avrebbe dovuto utilizzare per telefonare al 118 fin dal primo istante, lo utilizzava senza alcuna concreta utilità nella direzione della tutela della vita del ferito, è ciò nell’arco di un ampio lasso temporale al culmine del quale vedeva il Piampiano morire davanti ai propri occhi. II Fabbri, pertanto, non restava sul posto per soccorrere il Piampiano (perché nulla gli avrebbe impedito di compiere l’unica possibile azione salvifica del ferito, e cioè telefonare immediatamente al 118, pur in ipotesi intrattenendosi accanto al ragazzo e addirittura continuando a mentire sul supposto sparo accidentale dallo stesso posto in essere), bensì per alterare lo stato dei luoghi e delle corse pertinenti al reato, procedendo in distinti momenti a scarrellare e scaricare sia l’arma della persona ferita che la propria, prima che arrivassero altre persone sul posto; e il fermo proposito di salvare sé stesso da possibili conseguenze penali, anche a costo della vita dell’amico ferito in maniera assai grave, lo si coglie dalla piena dichiarata consapevolezza del Fabbri che Davide rischia di morire (‘questo me se more’) cui si accompagnano condotte dell’indagato dolosamente immobiliste, inidonee a procurare l’intervento immediato di chi veramente poteva salvare la vita al giovane, e piuttosto orientate al proprio esclusivo tornaconto personale”.
Dopo l’interrogatorio di garanzia il fascicolo sull’omicidio di Davide Piampiano è stato trasferito per competenza territoriale a Firenze in quanto la madre della vittima è un magistrato al tribunale di Spoleto. E proprio i parenti della vittima, assistiti dall’avvocato Franco Matarangolo, dopo giorni di silenzio e una breve dichiarazione (“siamo scioccati”, subito dopo l’arresto), proprio la mamma di Davide ha scelto di parlare a Umbria24.it: “Un incidente può accadere, certo che può accadere, ma il comportamento tenuto da Piero Fabbri dopo l’omicidio non si può perdonare”, dice la donna. “Piero è venuto tutti i giorni a casa mia a raccontarmi le stesse storie, ossia che aveva sentito un colpo da lontano e che c’era Davide a terra che chiedeva aiuto”, aggiunge. Una storia che Fabbri avrebbe ripetuto più e più volte, alla famiglia, agli amici ma anche alla gente che per esempio incontrava al bar. L’avvocato Roscini aggiunge che “in tutta franchezza non ho mai pensato all’incidente autonomo, non ho mai creduto a questa tesi. (…) Volevo che venisse fatta chiarezza sulla morte di Davide in quanto non mi andava che mio figlio passasse come il ragazzo superficiale e imprudente che non era. (…) In questo momento – uno dei passaggi della lunga intervista – la delusione deriva da questo, non dall’incidente, quello che è avvenuto dopo è qualcosa che va al di là dell’incidente: Piero Fabbri è stato una grande delusione. Mi aspetto che la Giustizia faccia quello che deve fare, il percorso giudiziario in questo momento però è la cosa che mi interessa di meno.: (…) una cosa però deve essere chiara: non cerco vendette”.
(Foto in evidenza, giustizia.it)
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