Il Tar dell’Umbria ha bocciato il ricorso del Comune contro la chiusura del punto nascita dell’ospedale di Assisi. Secondo i giudici, se la giunta Ricci – che all’epoca, anno domini 2014, presentò il ricorso citando in giudizio l’Asl 1, e l’Azienda ospedaliera di Perugia – avesse voluto avere una chance, avrebbe dovuto contrastare l’accordo Conferenza Unificata Stato – Regioni – autonomie locali e non le delibere regionali derivanti da quell’atto.
La chiusura del punto nascita dell’ospedale di Assisi venne decisa per un criterio puramente numerico, in quanto non rispettava il limite dei 500 parti annui (nel 2013 ci furono poco più di 200 nascite). Il Comune (dopo aver messo in scena proteste plateali come quella di Claudio Ricci, travestito da fantasma a segnalare i neonati che non sarebbero mai più nati ad Assisi), fece ricorso; sostenendo tra l’altro che l’ospedale fosse leader nella riduzione dei tagli cesarei.
Ma, secondo il Tar “l’accordo siglato dalla Conferenza Unificata Stato – Regioni – autonomie locali” rimane valido anche nella “razionalizzazione-riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1.000 all’anno” e in alcuni casi “è stata eccezionalmente limitata a 500 parti all’anno”.
Per salvare il punto nascita dell’ospedale di Assisi, il Comune avrebbe dovuto impugnare l’accordo Stato Regioni, oppure la delibera della giunta regionale “con cui è stata definitivamente approvata la riorganizzazione della rete regionale dei punti nascita”, ma non gli atti della Usl e dell’Azienda ospedaliera. Per Palazzo dei Priori, oltre al danno la beffa: dovrà infatti pagare tutte le spese processuali.
© Riproduzione riservata