(di Flavio Lorenzin, presidente di Confimi Meccanica) Italia – Germania 1 a 80. Nessuna fantasmagorica finale calcistica da Coppa del Mondo. Si tratta piuttosto del rapporto che esiste tra i diplomati agli istituti tecnici superiori italiani rispetto ai colleghi tedeschi. Una differenza abissale. Numeri che, inevitabilmente, si ripercuotono nel mercato del lavoro. Soprattutto in un contesto manifatturiero, settore della meccanica in primis. Basti pensare che, nonostante la pandemia e il rallentamento globale dell’economia, 4 PMI su 10 della meccanica hanno dichiarato di aver intenzione di fare nuove assunzioni in questi primi mesi del 2021. E il loro principale ostacolo nel farlo non sono le commesse a rilento, i ritardi della burocrazia o un’ulteriore stretta del credito. No, l’83% degli imprenditori ha difficoltà nel reperire figure specializzate.
Una possibile soluzione? La diffusione e la valorizzazione sul territorio nazionale delle ITS. Oggi solo 107. L’esperienza ci dimostra essere infatti forme efficaci nel colmare il divario formativo tra la scuola e il lavoro: agli ITS ci si iscrive dopo il diploma, da qualsiasi percorso di studio si provenga, come per le università è necessario un test d’ingresso attitudinale, ma, al contrario del mondo universitario, il percorso formativo di uno studente dell’ITS è disegnato a quattro mani: docenti e imprenditori. E le ore di formazione sono svolte al 50% tra l’aula e la fabbrica. Una scuola tecnica professionalizzante con percentuali di successo e di impiego inverosimili: quasi il 100% degli studenti diplomati ITS trova immediato impiego, spesso proprio presso quella realtà aziendale che ha formato e cresciuto lo studente, futuro dipendente, con il modus operandi del proprio stabilimento, del proprio settore. Differenti uno dell’altro, gli ITS sono realizzati secondo il modello organizzativo della Fondazione di partecipazione in collaborazione con imprese, università o centri di ricerca scientifica e tecnologica, enti locali, sistema scolastico e formativo. Con l’ambizione di aderire e al tempo stesso rispondere alle esigenze produttive del territorio di riferimento. Ma c’è di più.
Formalizzati nel 2010, gli Istituti tecnici superiori guardano al futuro da molto più tempo del Recovery Plan: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie della vita, Nuove tecnologie per il made in Italy (Servizi alle imprese, Sistema agro-alimentare, Sistema casa, Sistema meccanica, Sistema moda), Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali: sono le aree di riferimento tecnologico individuate come strategiche per lo sviluppo economico e la competitività del Paese.
Ricapitolando: abbiamo individuato un percorso professionalizzante che calza a pennello con la struttura produttiva dell’Italia fatta di piccole e medie imprese, abbiamo capito che la strutturazione di tale percorso permette l’impiego di quasi la totalità degli studenti, che il sistema produttivo reclama con forza queste figure perché in numero eccessivamente ridotto rispetto alle reali esigenze.
Perché quindi non accrescere il numero degli ITS? Perché non rafforzarne la presenza sul territorio? Perché non promuoverli agli studenti che si avvicinano al diploma secondario o non valorizzarli con quanti fuoriusciti dal mercato del lavoro? Figure oggi quanto mai di supporto agli imprenditori perché capaci di aiutare a governare e sfruttare il potenziale delle soluzioni di Impresa 4.0. Un ultimo inciso. Come presidente di Confimi Industria Meccanica – ma so di parlare a nome della Confederazione tutta – ritengo fondamentale il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori per allineare la filiera formativa che, partendo in particolare dalla formazione tecnica e professionale passa per gli ITS e le università fino ad innestarsi con l’apprendistato ed i modelli duali, ancora troppo poco diffusi.
(Confimi Umbria è uno degli sponsor di AssisiNews)
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