Riceviamo e pubblichiamo una serie di interventi di Paolo Ansideri, con cui si spera di innescare un dibattito su alcuni punti della vita culturale e sociale della città. La redazione di AssisiNews ricorda di essere aperta a qualsiasi contributo.
“La natura turistica della città (sia religiosa, che culturale) porta con sé un altro fattore di pressione e tensione sulle scelte di politica culturale e turistica, oltre a quanto citato negli articoli precedenti. La forza e l’importanza economica del settore turistico (tutta da valutare in realtà nel suo reale apporto al PIL cittadino), la schiacciante e preponderante immagine ultracittadina e mediatica su quella locale, sia come meta d’arte, sia come meta di fede, ingenerano la propensione alla formulazione di politiche e prese di posizione in cui l’ambito culturale viene completamente finalizzato alle esigenze dell’incoming religioso o turistico: la città dovrà approntare attività ed iniziative tese all’incremento degli arrivi e delle visite in città o in conformità all’immagine esistente, o con nuovi attrattori, ma comunque gli sforzi e le risorse in quella direzione dovranno essere impiegate. Tutto dovrà essere volto alla diminuzione del numero dei posti vuoti o nei letti d’albergo o nelle panche delle chiese. Cioè pur riconoscendo, per l’ambito commerciale, la comprensibile motivazione dello sforzo, ma vedremo le conseguenze di questa intenzione, si dovrà convenire che tutte le iniziative intraprese, per loro natura, hanno la loro legittimazione nel raggiungimento dell’obiettivo, cioè l’incremento numerico degli arrivi e che quindi l’interlocutore cui ci si rivolge nell’approntare il “prodotto” altro non è se non l’utenza in arrivo, turista o pellegrino che sia.
“Quindi – sostiene Paolo Ansideri – lo sforzo delle strategie operative è indirizzato ed ha come destinatario la comunità in transito dei turisti e dei pellegrini. La città dovrà essere allestita a questa finalità e le attività dovranno essere volte o a perpetrare ed amplificare l’immagine corrente per rafforzare il brand esistente (religioso e culturale) o a creare altre opportunità attrattive per altri brand: il fine è l’incoming ed il mezzo il patrimonio monumentale, paesaggistico, di fede o di nuova natura. Cultura per il turismo. Non entro per ora nel giudizio di come si rapportano o si possano rapportare tra loro questi elementi – scrive Paolo Ansideri – ma mi limito a constatare come gli apparati prospettati, avendo appunto come fine il turismo, tendano a lasciare l’esigenza culturale dei residenti in secondo piano rispetto a quella degli ospitati, riconoscendo ovviamente a tutti la volontà del beneficio economico collettivo. Così seguendo questa linea di pensiero, si ritiene che Assisi altro non sia che una location su cui poggiare 365 eventi l’anno, intercettando ogni possibile brand, per dar vita al Gran Park Assisi, al cui interno il compratore possa scegliere i suoi “pacchetti di prodotto” disposti sapientemente sugli scaffali secondo un oculato merchandising. Se quindi da un lato nel documento proposto dal vicariato va sottolineato (come a precedenti punti 4 e 5) come il gruppo diocesano abbia come riferimento preponderante per le attività da intraprendere la folla dei pellegrini, dall’altro e parallelamente, c’è altresì da rilevare come l’amministrazione in carica tenda altrettanto a considerare la folla dei visitatori come destinatari delle proprie politiche e quindi il comparto turisitico-alberghiero come proprio interlocutore diretto e privilegiato”.
“Già nelle prime assemblee pubbliche – ricorda Paolo Amsideri – l’assessore Guarducci auspicava la costituzione di una lobby degli operatori del settore turistico capace di influenzare le politiche del turismo e della cultura della città di Assisi ed anche recentemente, in un post su Fb, in risposta al post del consigliere Leggio affermava che: “ .. Risorse ed organico tragicamente insufficienti per governare cultura e turismo di questa Città. E questa colpa invece è ascrivibile non solo alle amministrazioni passate ma ad un sistema città fatto anche da imprenditori del comparto turistico ricettivo che non hanno fatto sistema facendo mancare il fiato sul collo su chi amministrava. Che hanno fatto fallire sistemi di aggregazione (Consorzio) che avrebbero dovuto assumere un ruolo guida/indirizzo e controllo nelle politiche turistiche e culturali della Città” (Da Facebook, Sei di Assisi se, risposta a post Fabrizio Leggio,15 marzo 2017). Le politiche culturali e del turismo, quindi, controllate da un gruppo di imprenditori”.
“La stessa qualifica di ruolo tecnico e non politico, più volte attribuita alle deleghe su turismo e cultura, sia da parte del sindaco che dell’assessore, denotano – secondo Paolo Ansideri – la palese visione di una comunità avulsa dai bisogni quotidiani della propria struttura socio-culturale ed in cui i valori assoluti, seppur non dichiarati, sono quelli dell’incoming su cui vanno concentrate tutte le risorse a disposizione dell’assessore, “tecnico incrementatore di flussi turistici”, coerentemente all’idea di una città come location per masse in movimento e non luogo residenziale (Documento Unico di Programmazione pg. 62 – B. turismo, cultura, valorizzazione dei contenitori culturali. Il respiro internazionale di Assisi, citta’ della pace) La pretesa di ruoli tecnici in cariche pubbliche, è palesemente autocontraddittoria. Una visione e dei valori guidano comunque l’azione che “tecnicamente” applica al contesto sociale quei principi guida, scegliendo qualcosa e scartando altro non rispondente a quelle intenzioni, cioè applicando una “politica”: non esistono cariche pubbliche tecniche, ma solo ed esclusivamente politiche, anche all’insaputa e nonostante le affermazioni in senso contrario di chi le ricopre”.
“La stessa proclamata volontà di eliminazione di contributi sotto una soglia minima, contribuisce a delineare un pensiero, non espresso, ma palese nelle scelte perpetrate, che crede che la complessità per essere amministrata, debba essere semplificata e ridotta a materia facilmente operabile, ridotta ad elementi minimi di manipolazione, espungendo il non rilevante. Denota la scarsa propensione a farsi carico della molteplicità socio-culturale che pure può costituirsi in forme apparentemente minimali e trascurabili: quale valenza culturale può avere un bar in cui alcuni pensionati si incontrano per il gioco delle carte? l’ambiente culturale urbano e le forme di aggregazione seppur minimale pretendono una più attenta cura e tempo di analisi, che sicuramente un colpo orizzontale e decisionista di maglio risolve in pochi attimi. In fin dei conti la vita culturale di un contesto urbano è più facilmente governabile se sintetizzata in otto eventi nel corso dell’anno, piuttosto che nell’incessante lavorio di sostegno e decostruzione del magmatico e caotico flusso sociale che si sottrae all’omologazione per affermare una propria incoercibile individualità.
Paolo Ansideri ribadisce dunque un principio che considera irrinunciabile: “La politica in generale o culturale come in questo caso, non può essere ispirata e tantomeno demandata, né a lobby imprenditoriali, né ad enti ecclesiastici, ma deve rimanere saldamente nelle mani della politica in senso stretto, cioè nell’esercizio del potere della città da parte della cittadinanza, che perseguirà interessi generali collettivi e non particolari, siano essi di ambito economico, siano essi di ambito socio-culturale. Questo non significa che, come da più parti reclamato, gli interessi particolari non debbano emergere od essere legittimamente espressi e rappresentati anche da istituzioni di categoria o religiose, che sono banalmente istituzioni, enti, gruppi di cittadini come qualsiasi altro. Non voglio sostenere che nell’intero documento del vicariato le azioni suggerite siano esclusivamente verso l’incoming religioso, ma le raccomandazioni e prescrizioni rivolte alla comunità residente, le attività “indoor”, sono comunque marginali e tutte volte alla conservazione dell’icona classica di Assisi che i fedeli si aspettano. Si percepisce in sostanza, un’intenzione preponderante verso la consolidata immagine ultracittadina (che è diverso da internazionale)”.
“Il gruppo diocesano con quanto consiglia e l’amministrazione per gli investimenti e le azioni effettuate, prospettano e lasciano intravvedere l’idea di una politica culturale, che tende ad incrementare i poli attrattivi interni, rafforzare quelli esistenti, per catalizzare l’attenzione della moltitudine esterna, per motivarne un flusso dinamico dall’esterno verso l’interno. Una sostanziale univocità di intenti. Città che si deve periodicamente svuotare e riempire di turisti e fedeli ed in cui la cittadinanza permanente è tutto sommato, un po’ sullo sfondo, una questione relativa e su cui le energie non vanno impegnate più di tanto se non nel mantenimento di quello che c’è. Come le camere d’albergo e le chiese periodicamente si riempiono e si svuotano, si occupano e si lasciano, così è la città nel suo complesso. Un enorme palcoscenico proteso verso una platea cui offrire spettacoli di arti e di fede”.
“Se la politica culturale ha come scopo la creazione di un ambiente e condizioni favorevoli per lo sviluppo conoscitivo individuale ed interpersonale dei cittadini – scrive ancora Paolo Ansideri – questa tensione non è dato percepirla. Non si avverte la cogenza del problema dello spopolamento del centro storico e le misure indicate (parcheggi, incentivi economici ecc.) sembrano citate solo per dovere di elencazione di argomenti classici della “Questione Assisi”. L’icona ricercata dal visitatore, non coincide con la forma richiesta dal residente. Mentre l’una è un’icona statica, un’immagine ferma che in quanto “prodotto” deve avere una connotazione ben specifica, l’assetto dell’ambiente composto dai residenti è assolutamente dinamico. In conformità alla mutazione costante del tempo quotidiano, che asseconda assolutamente il flusso del tempo corrente. L’onda culturale in cui viviamo con tutte le sue contraddizioni e fermenti, il suo tumultuoso accavallarsi di fenomeni e fratture. Quindi assecondare l’immagine richiesta dal visitatore è in qualche modo in contrasto con la necessità ed il bisogno del residente, che è un residente che non visita, ma vive la città. Si ha in sostanza l’impressione, che non sia preso ad oggetto delle argomentazioni il problema se l’attuale assetto dell’ambiente cittadino (inteso come territorio comunale) risponda ai bisogni latenti della cittadinanza, se l’ambiente offerto sia rispondente a quanto il nostro tempo propone, se il diritto all’accrescimento delle opportunità individuali possa essere sviluppato ed in che modo. Se possa essere esperita una nuova via per pensare un reinsediamneto nel centro storico, fuori dai luoghi comuni e lontano dai peana degli improbabili, miracolistici incentivi economici. Ammesso che una via esista. L’autonomia della cultura dalle attività di incoming (sia turistico che religioso) significa quindi avere ben presente la non assoggettabilità della politica, volta al miglioramento dell’ambiente culturale cittadino, alle esigenze commerciali tout court o di pellegrinaggio e quindi da questo punto di vista se mai: Turismo per la Cultura”.
Gli articoli precedenti sono pubblicati in www.oicosriflessioni.it con il titolo “Assisi nel tempo presente. Versione Assisi”. Il prossimo articolo – annuncia Paolo Ansideri – sarà “Turismo spa, azienda a maggioranza pubblica”.
© Riproduzione riservata