Riceviamo e pubblichiamo una serie di interventi di Paolo Ansideri, con cui si spera di innescare un dibattito su alcuni punti della vita culturale e sociale della città. La redazione di AssisiNews ricorda di essere aperta a qualsiasi contributo. (Nota: il testo Assisi nel terzo millennio è consultabile a questo link)
“Mi permetto, in questo articolo, di entrare in questioni inevitabilmente più radicali, sperando di non urtare la suscettibilità altrui, ma penso che alla fine non possa non manifestarsi quella concezione di fondo che divide un non credente come il sottoscritto, dai credenti che hanno redatto il documento o per lo meno da quanto da questo trapela. L’evocazione di temi potenti ed epocali come la pace, l’ambiente, l’amore del prossimo, la solidarietà, ecc.. – scrive Paolo Ansideri – esigono, per come vengono presentati alla mentalità corrente, quasi una scontata ed immediata adesione senza obiezioni di fondo. Chi osa essere per la guerra? Il pensiero corrente largamente condiviso, costruisce intorno a sé icone incontrastate che tutti noi non osiamo ledere. Tutti siamo per la solidarietà, per la pace…”
Correlato: “Non è vero che ogni turista è o diviene un pellegrino”
Ma la pace è precetto o scelta?
Scorre nel documento una concezione di fondo che considera la comunità civile, in fin dei conti, come comunità di fedeli cui rammemorare i principi ed i fini che ispirano la propria confessione nello stesso rapporto di adesione indiscussa a precetti, moniti, quando non a dogmi, cui i fedeli, proprio perché fedeli, sono tenuti a conformare il proprio agire ed intimo sentire, in quanto appunto tutti si appartiene alla madre chiesa che li indica dall’alto della sua autorità di fede, morale e dottrinale.
Non a caso il vescovo Sorrentino, nella lettera pastorale con cui ha istituito il Santuario della Spogliazione, parla di “santuario a cielo aperto” e come ogni chiesa del passato parlava al suo popolo per immagini e simboli, così l’odierna città-santuario dovrà essere simbolica testimonianza di quei valori. Così come Giotto ha narrato Francesco ed il suo messaggio dagli spazi architettonici e dalle superfici parietali della Basilica, così gli spazi urbani e pubblici e quelli temporali, dovranno narrare, aggiornare e scandire quel messaggio: nuovi santuari, memoriali, commemorazioni, ricorrenze, riti e quant’altro riassunto nel precedente punto 4.
Due qui i punti dirimenti che segnano fatalmente la divergenza sul piano politico-strategico per la città che vogliamo:
• da un lato la concezione degli individui che compongono la comunità stanziale e quella di passaggio
• e dall’altro l’assetto dell’ ambiente culturale generato dalle attività proposte.
La concezione degli individui
“Fondamentalmente, come sopra dicevo – scrive Paolo Ansideri – il cittadino è immaginato come un fedele, lo si deve “ammaestrare” alla bontà, alla carità ed alla solidarietà tramite la riduzione degli spazi culturali e sociali a spazi simbolico-didascalici, in cui viene ripetutamente e quasi propagandisticamente rappresentato il “Messaggio”. L’individuo è inteso come destinatario di tale “Messaggio”, recependo il quale non potrà che riconoscere i “Valori” e conseguire il “Bene”. Ciò che si sottintende, preconizzando un tale apparato simbolico pubblico dominato dall’univoca immagine del Bene, è che alla coscienza individuale, affinché il fine possa essere raggiunto, debba essere occultato qualsiasi argomento fuorviante, qualsiasi tematica, o atmosfera “.. stridente .. ” con l’ “Identità”, perché alla coscienza di fatto non è riconosciuta la facoltà della scelta, della libera scelta tra opzioni contrarie o solo differenti, per le quali non ci si vuole assumere il rischio della presenza e conoscenza. La coscienza è un ricettore e non un interlocutore. Confermando anche qui quanto precedentemente esposto intorno all’imbarazzo che viene suscitato in chi, proponendo altro, sembrerebbe incrinare questa visione intangibile ed unidimensionale in sé coesa e coerente.
L’assetto dell’ambiente culturale
“Ritengo l’ambiente culturale delle comunità locali, uno dei maggiori fattori formativi e cognitivi delle persone, dei residenti, in quanto ne occupa i pensieri ed il tempo. Determinante al punto che – sostiene Paolo Ansideri – l’assimilazione degli elementi caratteristici di tali contesti condiziona oltre che la crescita e lo sviluppo individuale in senso generico, anche veri e propri filoni culturali e professionali caratteristici del luogo. Famiglia, scuola, oggi i media e la comunità sociale ci formano e se i primi sono demandati a decisori non immediatamente riconducibili ad un ambito direttamente controllabile dalla cittadinanza, l’ultima è assolutamente influenzabile e governata dalla volontà politica che ha l’obbligo di considerare se stessa come il primo fattore di conservazione o mutazione. Se dunque l’ambiente sociale incide sulla formazione individuale e può o no contribuire all’incremento di conoscenza in senso lato, va da sé quanto determinante sia plasmarne le linee che ne configurano l’assetto o a questo rinunciare. Ma la rinuncia da parte del governo cittadino non significa che la forma ambientale culturale non abbia una sua configurazione, comunque attori e soggetti naturalmente la determinano immettendo sulla scena della visibilità pubblica, valori e comportamenti di riferimento: le forme del lavoro, le ritualità religiose, le forme della socialità e della modalità aggregative, le pulsioni ludiche e quelle culturali in senso stretto. Comunque condizioniamo lo spazio che abitiamo in quanto esseri sociali. Quale ambiente culturale è quindi auspicabile per favorire lo sviluppo “culturale” dell’individuo e delle relazioni conoscitive ed interpersonali?
“Abbiamo visto che quello prospettato, e come dichiarato nel sottotitolo del documento, è fortemente connotato dalla fedeltà al suo passato. L’ho definito unilaterale e monotematico – spiega Paolo Ansideri – in quanto pervaso dalla’aura dello spirito totalizzante da cui si ritiene dominato. Ma questo assetto favorisce la crescita individuale? Offre occasioni e condizioni favorevoli a quella crescita che ritengo assolutamente slegata dall’età anagrafica? Ma questa crescita, sviluppo, in cosa consiste esattamente? In quale direzione dovrebbe tendere? Rimarcare in ognuno l’adesione ai valori e principi di cui si è fin qui parlato? rafforzare lo spirito di identità cittadino? O altro? Proviamo allora a vedere – aggiunge Paolo Ansideri – se paradossalmente seguendo proprio il filo suggerito della fedeltà al passato, cercando proprio nel messaggio francescano, nello spirito di Assisi, troviamo tracce di quell’altro”.
“Non sta a me – dice Paolo Ansideri – essere interprete del messaggio francescano, né vorrei forzare l’interpretazione di questo nella direzione di argomentazioni e posizioni che sostengo, ma di nuovo sembra che l’evocato Spirito di Assisi, sia da intendere come una sorta di afflato universale, una sorta di brezza o nebbia che tutto avvolge lasciando le cose indistinte in una specie di elevazione mistica del creato e degli uomini che annulla conflitti e differenze. Due sono invece gli episodi della vita di Francesco che permettono di orientarsi per un’altra via: gli incontri con il sultano d’Egitto e con il lupo di Gubbio. Entrambi gli episodi mettono in evidenza un iniziale punto di partenza che consiste nell’assoluta differenza, dei protagonisti, la totale alterità culturale e religiosa da un lato e dall’altro addirittura di specie. Quel tratto di differenze ha motivato un dialogo che solo tramite la conoscenza è stato reso possibile”.
“Quale lingua parlava Francesco con il sultano? L’arabo, il volgare italiano o il provenzale? Se non lui, qualcuno per lui avrà pur dovuto conoscere la lingua dell’altro, unico accesso all’altrui cultura. Cioè tramite la conoscenza della differenza si è reso possibile un dialogo che pur lasciando gli interlocutori assolutamente altri, li ha tolti dalla dimensione dell’inimicizia. Ma non c’è bisogno di ricorrere a Francesco, per avvalersi dell’autorevolezza della fonte: da sempre la scienza apprezza la differenza per poterla conoscere. La conoscenza è bene comune – scrive ancora Paolo Ansideri – ed ha una dimensione “etico-morale” perché la consapevolezza della possibilità dell’esistenza del totalmente altro, relativizza la propria posizione, la propria sfera socio-culturale, rendendola cosciente della sua appartenenza ad un contesto di visioni e concezioni molto più vaste, di cui prende coscienza di essere una parte. E questa cognizione del relativo può contribuire al riconoscimento dell’altro come legittima parte del tutto. La conoscenza della differenza fattore di confronto o se si preferisce via di pace. Pace frutto di un razionale conseguimento anziché di fideistica adesione, cioè scelta per via di conoscenza dove l’altro viene conservato e preservato in questa sua alterità. È su questo stesso itinerario – conclude Paolo Ansideri – che nel 1986 Giovanni Paolo II, sul palco della Piazza Inferiore di San Francesco, ha lasciato che le altre religioni si manifestassero nella loro differenza, indicando questa come valore e la conoscenza (senza nulla togliere alla fede) come via. Portandolo più tardi ad inserire i propri biglietti di preghiera nelle fessure del muro del pianto di Gerusalemme e poi ad entrare nella moschea degli Ommayadi a Damasco.
Su questo stesso punto di svolta Benedetto XVI ha varato l’iniziativa del Cortile dei Gentili, luogo di dialogo tra credenti e non credenti, che ad Assisi è diventato il Cortile di Francesco. Ed è da queste citazioni storiche che si può più facilmente arrivare alla delineazione di una politica culturale propria di Assisi”.
Gli articoli precedenti sono pubblicati in www.oicosriflessioni.it con il titolo “Assisi nel tempo presente”. Il prossimo articolo, annuncia Paolo Ansideri, sarà “I valori di riferimento per una politica culturale”
© Riproduzione riservata