Non si fermano i botta e risposta sull’invito ad Aleida Guevara: la Lega alza i toni ed esprime il suo disappunto, con una lunga nota firmata dal coordinatore comprensoriale Stefano Pastorelli in risposta all’altrettanto lunga nota firmata da Francesca Vignoli.
“Al di là della simpatica paternale che la Francesca Vignoli ha redatto, del cui testo, tra l’altro, sono rimasto piacevolmente sorpreso – scrive Stefano Pastorelli – in quanto ho scoperto una satira ed uno humor che non avrei creduto. Mi sono soffermato sul contenuto del suo articolo (che cito per intero) che risulta povero di contenuti; per meglio comprendere lo paragonerei all’arringa di Lionel Hutz, l’avvocato della serie animata “The Simpson”. Un po’ scadente e di basso profilo, in cui ci spiega in modo un po confuso il romanticismo di questo “sanguinario guerrigliero”.
Chissà cosa ne penserebbero del suo pensiero e di quello di Minà da lei citato, i veterani boliviani che catturarono e uccisero il Che, i quali, in occasione del 50° anniversario della sua morte, hanno deciso di disertare l’evento (organizzandone uno loro per i soldati morti nei combattimenti) in quanto per loro ‘rendere omaggio a Che Guevara significa rendere omaggio al comunismo, alle idee di violenza, lotta e morte che questa ideologia ha disseminato ovunque’.
“Per quanto riguarda poi i cenni storici – scrive ancora Stefano Pastorelli – rimango alquanto perplesso. Innanzitutto mi chiedo come faccia a ritenere non attendibile il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, etichettandolo prima professore e poi farneticante (per la proprietà transitiva, essendo stato il medesimo appunto il leader dell’associazione romana che lei stesso definisce farneticante) come se avesse avuto modo di conoscerlo personalmente, prima della mia precedente citazione. Curioso! Curioso anche che parli in questo modo di uno storico, politico, filosofo e giornalista brasiliano, credente e cattolico incrollabile. La invito a leggerne qualche opera che sarebbe per lei davvero illuminante”.
“Posso citarle anche – continua Stefano Pastorelli – un’intervista al quotidiano la Repubblica di Jon Lee Anderson, giornalista del New Yorker. Costui è uno dei più importanti studiosi di Guevara di cui dice: ‘Era un guerrigliero. Cosa vi aspettate da un guerrigliero? Per caso un guerrigliero è soltanto un poster? Una bella faccia? Che Guevara non era né Mandela, né madre Teresa di Calcutta. E qui c’è il paradosso del mondo consumista nel quale viviamo. L’iconografia del Che è molto superficiale, nell’immaginario è rimasto come un bel volto di eroe drammatico, ma lui visse in un mondo reale. Non in un mondo iPhone, dove la protesta attuale è un clic, un like o un I don’t like. Non era un mondo Facebook, era un mondo vero. E adesso si scopre che Guevara ordinò esecuzioni sommarie, che fucilò i suoi avversari. Con la vittoria della rivoluzione a Cuba nel 1959 vennero arrestati militari dell’esercito di Batista, funzionari dei servizi segreti, torturatori. Persone che, mentre Castro e Guevara erano sulla Sierra Maestra, si erano dedicati alla caccia dei simpatizzanti della guerriglia nelle città. E cosa facevano a questi simpatizzanti? Gli offrivano una Coca-Cola? No, li sgozzavano e li appendevano agli alberi. Che Guevara nel Forte della Cabaña guidò i tribunali speciali che condannarono a morte i funzionari del regime sconfitto‘”.
“E mia cara – si domanda Stefano Pastorelli – cosa ci vede di romantico in tutto ciò? Ma se non ha gradito nemmeno questa citazione, la invito a leggere l’articolo di Alessandro Gnocchi del 16.9.2017 pubblicato su “Il Giornale”, e se neanche questo la convince, la invito allora a leggere “Il mito Che Guevara e il futuro della libertà”, di Alvaro Vargas Llosa, responsabile del Center on Global Prosperity dell’Independent Institute, nel quale “Ernesto detto Che” viene descritto come una “macchina assassina”, non un guerrigliero romantico, ma un uomo tremendamente ambizioso, e incapace di considerare i diritti del suo prossimo come limite alle proprie ambizioni”.
“Come vede – dice ancora Stefano Pastorelli – potrei continuare ad elencare citazioni e passaggi di libri, ma é inutile dar da mangiare a chi non ha fame, quindi la invito a cercare in autonomia qualche nozione diversa dal suo pensiero, cercando di ampliare le proprie conoscenze e soprattutto vedute, aprendo la propria mente anche alla possibilità che non sia come lei e molti altri credono. Dopo il periodo fascista, la sinistra aveva bisogno di creare un mito per sfatare una realtà e distogliere da quel credo, a tutt’oggi spauracchio della sua amata, ma scadente e penosa sinistra. Ma il mito rimane un mito, e la realtà è ben differente. Quindi le chiedo un po’ di onestà intellettuale, perché mentre il regime fascista non esiste più, quello comunista si e nel corso della storia ha mietuto vittime tante quante, se non più della compagine, regime di cui era rappresentante anche il suo beniamino”.
Accetto inoltre, volentieri, lezioni di italiano e grammatica da lei, Sig.ra Vignoli – scrive sempre Stefano Pastorelli – perché rimango dell’idea che non si finisce mai di imparare, e ignorante é chi crede di avere la conoscenza assoluta, a patto che lei, signora, ne accetti alcune di storia. Quindi, in conclusione, sono lusingato del tempo che mi ha dedicato, ma ribadisco fermamente, e più forte di prima il concetto: le parole devono andare di pari passo con i fatti, non si può millantare Liberazione e fare carneficina. Il suo “romantico Che” credeva in questo. ‘L’odio come fattore di lotta, l’odio intransigente contro il nemico, che spinge oltre i limiti naturali dell’essere umano e lo trasforma in un reale, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere‘. Un carnefice, nulla più, ed Assisi non si può permettere di dare luce ai principi di un carnefice, essendo simbolo universale di cristianità e pace”.
“Cara Vignoli – conclude Stefano Pastorelli – io, a casa mia, un uomo che ha scritto questa storia, in questo modo, e su cui la sua sinistra ha ricamato un mito tirando sabbia negli occhi, non ce lo voglio, cosi come non lo vogliono molti dei miei concittadini. Non si sta negando alla figlia di Ernesto Che Guevara la possibilità di esprimere un proprio pensiero, si sta chiedendo, ragionevolezza, e coerenza, e soprattutto si sta chiedendo di non portare ad Assisi il nome di un uomo che ha fatto scorrere sangue”.
© Riproduzione riservata